domenica 26 giugno 2016

Matteo Silanus: il mio supereroe senza superpoteri

Jason è un giovane insegnante dell’Università di Philadelphia, ma non è un ragazzo come tutti gli altri. Dietro alla sua insospettabile figura si nasconde un’identità segreta: Jason altri non è che Lampo Oscuro, un supereroe decisamente sui generis. Lampo Oscuro, infatti, è tutt’altro che invincibile: non ha costume, né mantello, è vulnerabile e può provare dolore come qualsiasi altro essere umano. L’unica facoltà che possiede è quella di percepire la paura delle persone in pericolo e di tele-trasportarsi da loro per difenderle, sostenuto più dall’incoscienza e dal coraggio, che da veri e propri superpoteri. Accanto a Jason ci sono Peter, l’amico di sempre, e Renée, la ragazza di cui è innamorato, compagni di vita e di avventura soprattutto nella lotta contro Heinz, un crudele nemico dal quale difendersi con tutta l’astuzia possibile. Riuscirà Lampo Oscuro a vincere la sua battaglia contro le forze oscure che si celano nella stessa natura umana, a costo di mettere in discussione persino sé stesso? Per scoprirlo non vi resta che leggere “Lampo Oscuro”, Lettere Animate, il primo originale romanzo dell’emergente Matteo Silanus. L’idea di creare un supereroe 2.0 senza dei veri e propri superpoteri, oltre al proprio profondo senso di umanità, è innovativa e divertente, al di là dello stile dell’autore ancora acerbo e della struttura del romanzo non sempre scorrevole. L’introspezione del protagonista e di aiutanti e antagonisti, pur nello schema tipico del fumetto, è profonda e intrigante e il ritmo incalzante dei dialoghi rende quest’opera prima un interessante esperimento che ci auguriamo abbia presto un seguito.



Un supereroe tutt’altro che invincibile che impara a convivere con degli inaspettati superpoteri, facendo i conti anche con le debolezze della natura umana: sono questi gli elementi di “Lampo Oscuro”, Lettere Animate. Raccontaci la genesi di questo romanzo: cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Da sempre sono appassionato di fumetti che abbiano per protagonisti supereroi, però, ultimamente, mi è capitato spesso di pensare che i personaggi di queste storie siano talmente forti, talmente invicibili, talmente “super”, che si finisce per perdere parte dell’emozione che caratterizzava i loro ruoli al principio. Insomma, per farla semplice, credo che se un supereroe non corre nessun rischio, allora perde di significato quella che è, a mio parere, la cosa più importante: la sua fermezza nel sacrificare tutto per raggiungere il suo scopo.

Chi è Jason, alias Lampo Oscuro, il supereroe alle prime armi, protagonista del tuo libro? Come lo definiresti e, in generale, come delinei personaggi dei tuoi romanzi?

Jason è un ragazzo come tanti: ha dei traumi infantili che a volte lo tormentano, una vita sociale e lavorativa in linea coi tempi moderni, una “cotta” non corrisposta... Ma ció che lo caratterizza maggiormente, credo, sia la sua voglia di essere riconosciuto, o meglio di lasciare un segno, che sia attraverso le sue lezioni all’università o attraverso le sue azioni nei panni di Lampo Oscuro.
  
Che autore sei: segui l’ispirazione in qualunque momento della giornata o hai un metodo collaudato al quale non puoi rinunciare? Quando e da dove nasce il tuo bisogno di scrivere?

Non mi definirei un autore vero e proprio, semmai un ragazzo appassionato di libri, che ha sempre desiderato scrivere qualcosa di suo e che, spinto da alcune sue fantasie, è riuscito a creare una piccola storia, poi fortunatamente convertita in un libro.

Per saper scrivere bene, occorre, senza dubbio, lettere tanto: che generi e quali autori prediligi? Che libro c’è sul tuo comodino?

Effettivamente leggo abbastanza, anche se non so se questo si evinca dal mio livello di scrittura, alquanto acerbo. Per quanto riguarda i generi, spazio dal fantasy al filosofico, alllo storico. Tra i miei autori preferiti non posso non menzionare Paulo Coelho e Anthony de Mello.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


Come ho detto prima, il mio sogno era di scrivere qualcosa e per ora posso considerarmi soddisfatto. Sono sicuro che nei prossimi anni riprenderó la penna in mano, anzi sarebbe meglio dire la tastiera del PC, e scriveró qualcos’altro, ma non saprei dirlo con certezza. Se avró qualcosa da raccontare, qualcosa che mi interessi e mi colpisca personalmente, lo scriveró senza dubbio.


domenica 19 giugno 2016

Enrico Luceri: come scrivere il giallo perfetto


È l’insindacabile giudizio positivo dei lettori a fare di un romanzo un giallo perfetto.
Ecco la regola d’oro di Enrico Luceri, uno dei giallisti più apprezzati del panorama letterario italiano, grazie alla sua capacità di coniugare l’ispirazione e il talento allo studio dei classici del genere e delle strutture narrative che sostengono gli intrecci nei vari sottogeneri.
La sua carriera di scrittore decolla con la conquista del Premio Tedeschi nel 2008, col suo indimenticabile romanzo “Il mio volto è uno specchio”, uscito, come di consueto, nella prestigiosa collana dei Gialli Mondadori. Accanto al suo stile scorrevole e asciutto, Enrico Luceri è tra i pochi autori a saper associare trame avvincenti, dalle ambientazioni squisitamente nostrane, e una capacità descrittiva inimitabile, che contribuisce a tenere alta la tensione, quasi come se le immagini di ciò che accade scorressero vivide di fronte ai nostri occhi.
Il successo di Enrico Luceri deriva, senza dubbio, dal grande amore che lo lega al genere letterario che lo vede protagonista e, quindi, dalla lettura e dall’approfondimento di tutti gli autori, sia italiani, sia stranieri, ma anche dal suo talento nel contaminare le varie sfaccettature del giallo, strizzando l’occhio anche ai grandi registi italiani, da Lucio Fulci a Dario Argento, andando ben oltre il thriller e il poliziesco.
In attesa di vederlo tornare in tutte le edicole d’Italia, il prossimo anno, con un nuovo e imperdibile Giallo Mondadori, Enrico Luceri ci ha raccontato nel dettaglio tutti i suoi progetti futuri, dalla narrativa, alla saggistica, svelandoci, inoltre, quali sono i suoi segreti per scrivere un giallo perfetto anche per i lettori più esigenti.



La vittoria del Premio Tedeschi ti ha consacrato tra i giallisti più apprezzati del panorama letterario italiano. Che autore sei e quando ti sei reso conto che questo talento sarebbe potuto diventare una professione? Come e da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

In un’intervista rilasciata durante il montaggio di “Suspiria”, nella seconda metà degli Anni '70, trasmessa parecchio tempo dopo su Rai Tre nel notturno “Fuoriorario”, il regista Dario Argento sostiene che la molla che lo spinge a fare del cinema non è il desiderio di raggiungere la fama o la ricchezza, ma quello di essere amato e dare amore. Vale anche per me per quel che riguarda la scrittura.
Sembra un paradosso, ma, a volte, nei romanzi di genere, gli assassini uccidono per lo stesso motivo, o forse sarebbe più corretto chiamarlo movente: per amore.
Difficile comprenderlo a prima vista, ma anche i loro crimini, così laboriosi e complicati nella preparazione e nella messa in scena, non sono altro che una lunga, disperata, straziante richiesta d'amore. Proprio perché è difficile comprenderlo, io scrivo queste storie: per capire, o, perlomeno, provare a farlo, affinché si giudichi solo dopo aver compreso quell'impasto di rancori, rimorsi, rimpianti che chiamiamo sentimenti e sono in fondo la più umana e concreta testimonianza dell’essere vivi.

Come si struttura il giallo perfetto? Quanto contano un buon incipit, un’efficace scansione dei capitoli e dei personaggi credibili e complessi? Svelaci i tuoi segreti…

Per me un giallo è un meccanismo simile al congegno di un orologio a carica, dove ogni elemento, ogni ruota dentata o molla, assolve un compito, senza il quale il meccanismo non funziona. Trama di genere, personaggi, enigma, atmosfera, suspense devono fondersi e concorrere alla riuscita di una storia. Nessuno deve prevalere. Per metafora: un giallo così è una squadra di calcio costruita per sviluppare uno schema di gioco ben preciso, che schiera solo i giocatori in grado di praticarlo.
Forse la prima cosa da chiedersi è cosa sia davvero un giallo, al netto di regole e decaloghi che appartengono, loro sì, a un’altra epoca. Cosa sia un giallo in pratica, verrebbe da dire, empiricamente.
Un giallo è anche, ma non solo, un’indagine su un mistero, in genere un omicidio. Un giallo è anche, ma non solo, un gioco di prestigio in cui lo scrittore/illusionista sfida il lettore/spettatore a trovare il trucco con cui viene confuso nella ricerca dell’assassino. Un giallo è anche, ma non solo, una vicenda calata in un’atmosfera di tensione che cresce all’evolversi della storia. Un giallo è anche, ma non solo, qualcosa che ogni autore mette di suo, se ama il genere che scrive con la stessa passione con cui lo legge e se lo considera un fine e non un mezzo.
Un giallo è anche e soprattutto tale se è apprezzato dai lettori, i quali possiedono un patrimonio di conoscenza che permette loro di dare un giudizio competente, equilibrato e onesto. E sono loro che, dopo aver girato l’ultima pagina del romanzo, stabiliscono se hanno appena finito di leggere un vero giallo o qualcosa spacciato per esso. Questo è il giallo perfetto: quello che i lettori riconoscono come tale.
Sono abituato a parlare poco, ad ascoltare con attenzione gli altri quando parlano, e, soprattutto, a ricordare quello che sento. Questo mi ha aiutato molto. Quando scrivo, parto da una prima intuizione: un'idea, un viso, un titolo, un ricordo, un gesto anche banale. Attorno a questa, costruisco, piano piano, il mio orologio del giallista. Scrivo scalette molto dettagliate, divise per capitoli, simili alle storyboard cinematografiche, con descrizioni di ambienti, personaggi, abbozzi di dialoghi, sviluppo della trama. Quando comincio a scrivere il testo definitivo del romanzo, i pezzi dell'orologio e le istruzioni del montaggio sono pronti e collaudati, ma lo costruisco comunque con calma, cura e pazienza.
L'incipit è importante, certo, ma a me interessa moltissimo anche la frase conclusiva: credo sia quella che resta impressa nella memoria del lettore.
Ho letto “Il corsaro nero”, di Emilio Salgari, a dieci anni, e ricordo sempre la frase finale del romanzo, che, secondo me, è una delle più belle della letteratura di tutti i tempi, per l'emozione che trasmette: «Guarda lassù! Il Corsaro Nero piange».



È ancora possibile, oggi, secondo te, fare della scrittura un mestiere a tempo pieno? Cosa significa collaborare con un grande editore? Dai un suggerimento a un giovane che volesse seguire le tue orme.

Innanzitutto bisognerebbe scrivere solo ciò che, con grande umiltà e senso della misura, si è ragionevolmente certi di conoscere. Poi avere la modestia di revisionare la propria opera, privandola di quello che non serve alla trama, ma solo a "fare colore".  
È necessario, inoltre, avere chiara la distinzione fra generi, ognuno dei quali ha caratteristiche proprie ben precise.
Ci si deve affidare a idee valide, non banali e del tutto coerenti con il genere letterario che si vuole praticare e ricordare sempre che la forma priva di sostanza non ha valore, malgrado ciò che sostengono alcuni stravaganti addetti ai lavori.
Si dovrebbe evitare la moda di risolvere un mistero usando un espediente tecnologico, o, perlomeno, non solo quello, ma arrivare alla soluzione con psicologia, intuito investigativo, indizi, logica e, se serve, un pizzico di fortuna (ma solo un pizzico).
Non bisogna cascare nella trappola della vocazione letteraria: è una consapevolezza che si acquista nel tempo.
Quindi: prima di proporre l'opera a un editore, un aspirante scrittore deve verificare che questi pubblichi romanzi o racconti del genere praticato, meglio ancora leggerne qualche libro, per avere un'idea precisa della casa editrice e del suo catalogo.
Se si partecipa a un concorso che prevede la pubblicazione di un'opera, si deve verificare che la nostra soddisfi i requisiti del bando e leggere e analizzare come sono state scritte quelle vincitrici delle precedenti edizioni: insomma capire se è l'ambiente giusto per proporre il proprio romanzo o racconto.
Quando, infine, si stabilisce un rapporto di collaborazione con un editore, grande o piccolo che sia, è necessario essere schietti e rispettosi dei consigli ricevuti, analizzandoli con modestia, ma se si è convinti delle proprie idee, rischiare e insistere con quelle.
Non so quali siano le difficoltà, che immagino esistano, quando la scrittura è un mestiere a tempo pieno, l'ho sempre praticata mantenendo il mio impiego, ma questi modesti consigli possono essere utili a chiunque.
Ho dedicato trent'anni della mia vita a un lavoro difficile, impegnativo, spesso ingrato e raramente elogiato, ma una delle poche cose che ho imparato negli anni è che si amano proprio coloro che ci fanno soffrire, perché nell'amore la passione prevale sulla razionalità. E questo vale anche per il lavoro.

Quali sono i tuoi consigli di lettura per un aspirante giallista? Tu che lettore sei: che generi e quali autori prediligi?

Ciò che penso, anzi di cui sono sicuro, vale per me e non ha alcuna pretesa di oggettività: credo sia necessario amare appassionatamente il genere narrativo che si pratica.
Occorre, dunque, leggere romanzi e racconti, o fumetti, vedere film o sceneggiati e commedie teatrali: insomma tutte le forme espressive in cui si può narrare un giallo. Qualcuna piacerà di più, altre di meno, tutte, però, potranno lasciare un'ispirazione, una traccia da seguire per alimentare la propria fantasia. È importante amare quello che si scrive, soprattutto se si ha la fortuna, e, se vogliamo, un pizzico di merito, che lo amino anche i lettori, perché sono loro gli unici giudici della validità di una trama.
Non bisogna perdersi d'animo se, all'inizio, s'incontrano difficoltà, ma insistere, tenacemente, lavorando con umiltà, cura, dedizione e seguendo la propria strada e ciò in cui si crede. Il tempo premia l'impegno.
Leggo prevalentemente gialli, ma non solo. La mia giallista preferita è Agatha Christie. Ne apprezzo le opere, naturalmente, ma soprattutto il carattere: la riservatezza, la modestia, il senso della misura e lo humour tipicamente inglese. Spero di somigliarle, almeno in questi aspetti del carattere.
Leggo anche saggistica, non solo di genere. Recentemente ho apprezzato due carteggi, molto diversi fra loro, ma ugualmente interessanti: “Un viaggio chiamato amore”, la corrispondenza fra i poeti e amanti Sibilla Aleramo e Dino Campana, poi “Caro Maestro...” e “Lettere a Marta Abba”, il decennale e fitto scambio di lettere fra Luigi Pirandello e la sua attrice preferita e musa, Marta Abba. Sarebbe complicato e forse inutile spiegare come e perché, ma ambedue queste letture mi hanno ispirato altrettanti gialli!



A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Recentemente sono stati pubblicati il racconto lungo “Punto improprio”, in ebook, nella collana Delos Crime, e il romanzo “Solo dopo il crepuscolo”, scritto insieme a Sabina Marchesi, in libreria per la collana Comma21 dell'editore Damster. Sono due opere molto diverse fra loro a cui tengo molto.
Il romanzo “Uno, due, stringi le mie mani tra le tue” sarà pubblicato a breve in e-book da FlimFlam. È un thriller e, già dal titolo, s'intuisce che una filastrocca ha un'importanza decisiva, come pure un trauma infantile, un testimone oculare di un omicidio, un assassino vestito di nero e una costruzione della suspense che rappresenta un deliberato omaggio alla filmografia del Maestro Dario Argento.
In ebook, a ottobre, uscirà una raccolta di racconti il cui titolo è tutto un programma: “Il primo rancore non si scorda mai”: dieci percorsi della memoria in altrettanti racconti, dieci storie da ricordare come sogni dopo una lunga nottata, sperando che siano davvero soltanto incubi che si dissolvono all'alba.
Un discorso a parte merita la serie “M-Files”, creata e realizzata insieme agli amici e colleghi Giulio Leoni e Massimo Pietroselli. Sono stati pubblicati su Amazon i primi tre episodi, altrettanti li seguiranno in autunno. Nell'Italia degli Anni '30, tre giovani brillanti e anticonformisti vengono reclutati da una misteriosa sezione M che indaga su misteri al limite della realtà, proprio come faranno parecchi anni dopo, al di là dell'Atlantico, gli agenti Mulder e Scully con i loro X-Files!
A maggio del 2017, l'appuntamento, invece, è in edicola con il romanzo “L'ora più buia della notte”, nel Giallo Mondadori: un enigma classico, con pochi personaggi, una villetta che custodisce molti segreti, diversi colpi di scena e una soluzione che, spero, sorprenderà i lettori. A proposito di questa collana, in futuro mi auguro tornerà anche il commissario Buonocore, un personaggio cui sono molto affezionato, in un romanzo intitolato “Le notti della luna rossa”.
Sempre nel 2017, le edizioni Profondo Rosso pubblicheranno un mio saggio dal titolo provvisorio “Pistole e pupe”, sulle case editrici romane di genere giallo e horror, ma non solo, fra gli Anni '50 e '80 del secolo scorso, scritto con la collaborazione e supervisione del Maestro e amico Luigi Cozzi.
Altre opere, già consegnate agli editori, non hanno ancora una data di pubblicazione consolidata, ma arriveranno comunque a lettori di gialli. Prima o poi.


sabato 11 giugno 2016

Alessia Lirosi: il Diritto all’Istruzione nella Storia delle Donne


Il diritto all’istruzione delle donne, oggi pacificamente riconosciuto nei Paesi occidentali, è, in realtà, il frutto di un lungo percorso di civiltà, durato molti secoli e caratterizzato da lotte popolari e contrasti politici. Anche le popolazioni più progredite dell’antichità hanno negato, per generazioni, l’alfabetizzazione delle donne, poiché considerate non abbastanza intelligenti e destinate esclusivamente al matrimonio e alla famiglia. Ancora oggi, in molti Paesi soffocati dalla morsa di culture retrograde e regimi restrittivi, la libertà e l’indipendenza derivanti dall’istruzione vengono interdette alle donne, sottomesse al dominio di una realtà maschilista. La prima ad aver affrontato in modo sistematico e articolato la storia del diritto all’istruzione delle donne è Alessia Lirosi, una giovane ricercatrice di Storia Moderna dell’Università La Sapienza di Roma, che, col suo interessante e innovativo saggio “Libere di sapere”, Edizioni Storia e Letteratura, ha vinto la diciassettesima edizione del premio dell’Associazione Femminile Internazionale “Soroptimist”, dedicato alla storia e alla cultura di genere. In un avvincente viaggio dal Cinquecento, ai giorni nostri, dall’Occidente, all’Oriente, Alessia Lirosi ci accompagna, con uno stile scorrevole e accessibile a tutti, in un cammino attraverso la conquista del diritto allo studio da parte dell’universo femminile. Ma Alessia Lirosi non è solo questo: accanto ai suoi originali saggi sulla storia delle donne e alla professione di giornalista esercitata per diverse testate, l’autrice ha unito la passione per la narrativa, tra romanzi e racconti tutti da leggere, che hanno ottenuto un grande successo di pubblico.

“Libere di sapere”, Edizioni di Storia e Letteratura, tratta per la prima volta in modo sistematico la storia del diritto delle donne all’istruzione, dal Cinquecento a oggi. Raccontaci la genesi di questo saggio: cosa ti ha ispirato e sostenuto durante la stesura? Cosa vuoi comunicare?

Il libro è nato da una serie di ricerche che avevo condotto alcuni anni fa, durante il periodo in cui lavoravo all'Unicef, e da altre ricerche che ho svolto di recente e che ho ancora in corso. Da tempo mi riproponevo di scrivere un testo che affrontasse la questione del diritto all'istruzione nel lungo periodo e in modo divulgativo e accessibile anche a un pubblico non strettamente universitario. Ciò perché ultimamente mi è capitato spesso di percepire, persino nel nostro Paese, una sorta di sfiducia nell'importanza e nell'utilità dell'istruzione, sfiducia forse dovuta al periodo di crisi economica che stiamo attraversando. Mi sembra infatti che alcune persone ritengano che istruirsi serva principalmente a ottenere un lavoro remunerativo. Il legame tra istruzione e retribuzione professionale sicuramente esiste ed è senza dubbio importantissimo, ma non può essere l'unica motivazione a studiare. In altre parole, a volte temo che si rischi di dimenticare non solo quanto tempo e quante battaglie sono state necessarie per affermare il diritto all'istruzione per tutti, - maschi e femmine - ma anche che l'istruzione è fondamentale per la formazione di un pensiero autonomo e critico e per favorire e alimentare quel delicatissimo processo interiore che consiste nella costruzione della personalità individuale di ciascuno di noi.
È da queste riflessioni che è scaturito il mio desiderio di scrivere questo libro, ma confesso di essermi messa concretamente a tavolino, con la penna in mano, dopo essere venuta a conoscenza del concorso bandito dall'associazione "Soroptimist" per ricerche sulla storia di genere. In seguito sono stata proprio io a vincere il concorso con il manoscritto di “Libere di sapere”, che è stato poi pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura, un editore scientifico di grande prestigio. Ricordo che il “Soroptimist” è un'Associazione composta da donne impegnate in attività professionali e manageriali che operano, attraverso diversi progetti, per la promozione dei diritti umani, l'avanzamento della condizione femminile e l'accettazione delle diversità.


Cosa è cambiato nel corso dei secoli nei confronti delle donne istruite? Oggi c’è veramente una condizione di parità e uguaglianza in tutto il Mondo?

Nel campo dell'istruzione, per quanto riguarda l'Italia e i paesi cosiddetti occidentali (anche se il termine "occidentale" è oggi oggetto di discussione), posso dire che la parità si è raggiunta. Qui i dati mostrano che le ragazze non di rado si impegnano negli studi più dei ragazzi. Ad esempio, nel nostro paese oltre il 60% dei nuovi laureati sono donne (cito dati contenuti nel Rapporto sull'istruzione elaborato dall'OCSE per il 2014). Tuttavia, in tante altre aree del mondo, la situazione è molto diversa, come dimostrano anche casi di cronaca eclatanti, come quello della studentessa pakistana Malala o delle liceali nigeriane che sono state rapite da un gruppo terroristico nel 2014 e di cui non si è saputo più nulla. Inoltre, anche nel nostro Paese, la parità risulta ancora lontana in determinati settori, ad esempio nella remunerazione professionale: spesso accade che uomini e donne siano pagati in modo differente per lo stesso lavoro.
Purtroppo tantissimi bambini e bambine in tutto il mondo vedono ancora violati i propri diritti, tra cui il diritto all'istruzione. Sappiamo che, attualmente, circa 58 milioni di bambini - sia maschi che femmine, tra i cinque e i dieci anni, sono esclusi dalla scuola. Tra di loro, le bambine sono 32 milioni, quindi oltre la metà. Inoltre esistono circa 757 milioni di adulti semianalfabeti o analfabeti del tutto e, di essi, circa 481 milioni sono donne dai quindici anni in su.

Nelle tue ricerche sulla storia delle donne ti sei occupata anche di religione, approfondendo il microcosmo dei monasteri femminili nell’età moderna. A che conclusioni ti hanno condotto i tuoi studi?

Nel 2012 ho pubblicato un altro libro: “I monasteri femminili a Roma tra XVI e XVII secolo”. Le comunità monastiche sono state luoghi di grande cultura e non solo dal punto di vista strettamente religioso. Sappiamo che sono esistite monache scrittrici, poetesse, musiciste, pittrici, miniaturiste. In passato, nei Paesi cattolici, solitamente le donne che ricevevano un minimo di alfabetizzazione erano soprattutto quelle che venivano accolte nei monasteri come educande. Per secoli la vita monastica ha concesso alle donne, soprattutto a coloro che l'avevano scelta volontariamente, la possibilità di sfuggire a matrimoni indesiderati o ai rischi connessi al parto o alle malattie sessualmente trasmissibili. Non è un caso se la prima donna laureata al mondo - che tra l'altro fu un'italiana, di nome Elena Cornaro Piscopia - decise di farsi oblata benedettina per avere più libertà di dedicarsi ai propri studi. Piscopia ebbe la fortuna di essere sostenuta dalla propria famiglia, che ne favorì in tutti i modi l'educazione, e nel 1678 si laureò in filosofia all'Università di Padova.


Parallelamente alla brillante carriera universitaria e di ricerca, ti sei dedicata anche al giornalismo e alla narrativa, confermando il tuo talento per la scrittura a tutto tondo. Che bilancio trai da queste esperienze?

Attualmente collaboro come giornalista con la sede italiana dell'Organizzazione non governativa americana "World Vision", che si occupa di progetti in favore dei bambini e delle bambine nei paesi in via di sviluppo. Collaboro anche con la rivista web www.giornaledistoria.net, che si occupa di Storia moderna e contemporanea. Inoltre, nel tempo libero mi diverto a scrivere racconti o piccoli romanzi come “Il gatto che sapeva troppo”, un giallo che ha per protagonista un gatto.
Devo dire che sono tutte esperienze che si completano a vicenda nell'arricchirmi e non credo che riuscirei a fare a meno di una di esse. Ognuno di noi ha molteplici sfaccettature. E il nostro io è in continua evoluzione, perciò penso che abbiamo bisogno di "nutrirlo" in tanti modi diversi.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi programmi per il futuro.


In questo momento sto lavorando a una nuova ricerca sulle donne, ma non posso dire di più!


domenica 5 giugno 2016

Francesca Dego: il Violino è la mia Vita

Foto di Davide Cerati

Per essere un buon musicista, il talento non è tutto: parola di Francesca Dego. Classe 1989, diplomata con lode al Conservatorio di Milano, oggi Francesca Dego è considerata una delle più grandi violiniste italiane. Il suo talento cristallino l’ha portata a girare il Mondo, tra concerti ed esibizioni di ogni genere, riuscendo così a realizzare il suo sogno di bambina: vivere di musica e per la musica. Francesca, infatti, ha iniziato a suonare il violino sin da bambina, assecondando una dote naturale di cui la sua famiglia si è accorta immediatamente. Oltre alla predisposizione innata, tuttavia, diventare un musicista professionista comporta disciplina, impegno e ore e ore di studio per raggiungere livelli di eccellenza che vanno mantenuti solo con l’esercizio quotidiano, anche quando si è in tournée in giro per il Mondo. In occasione della recente incisione integrale delle Sonate di Beethoven, per la Deutsche Grammophon (Universal Music), assieme alla pianista e collega Francesca Leonardi, Francesca Dego ci ha raccontato cosa significa essere una musicista professionista al giorno d’oggi e cosa si prova a calcare i palcoscenici, da una parte all’altra del Globo, con un unico e fedele punto di riferimento: il violino.  

Il tuo percorso da violinista di incredibile talento ti sta portando a girare il Mondo, un concerto dopo l’altro: quando e da dove nasce la tua esigenza di fare musica? Cosa vuoi esprimere attraverso le corde del tuo violino?

La mia passione per la musica, e in particolar modo per il violino, è nata grazie e mio padre, Giuliano Dego, che è uno scrittore, ma ha studiato violino da dilettante e lo ha sempre suonato con impegno solo per amore della musica. Sono cresciuta ascoltandolo suonare e anche sentendo cantare mia madre che, pur non essendo una professionista, ha sempre avuto un grande talento per la lirica. La passione per la musica classica, quindi, fa parte della mia famiglia sin da prima della mia nascita e, di conseguenza, anche il mio percorso è iniziato con grande naturalezza. I miei genitori si sono accorti subito che avevo il cosiddetto “orecchio assoluto”, cioè la capacità innata di riconoscere e replicare le note che ascoltavo. Ho iniziato a cantare fin da piccola e a tre anni ho già cominciato a prendere confidenza col violino, iniziandone lo studio vero e proprio l’anno successivo. A impostarmi tecnicamente, all’inizio, è stato proprio mio padre, poi, visti i miei miglioramenti, sono stata affidata a grandi insegnanti che hanno contribuito alla mia formazione.
La musica è sempre stata la mia fedele compagna di vita. Non ho memoria di cosa facessi prima di imparare a suonare, avendo cominciato da molto piccola, quindi la musica, per me, è sempre stata un altro linguaggio per esprimere me stessa, oltre alle parole. Ho un’indole timida, anche se non sembrerebbe, visto che, per lavoro, mi interfaccio quotidianamente con un pubblico e questo solo grazie al violino che, da un lato mi consente di esprimermi al meglio, dall’altro mi ha regalato da subito grande sensibilità ed empatia verso le emozioni. Fare musica, in fin dei conti, significa saper raccontare una storia fatta di gioie e dolori, anche se non si sono vissute in prima persona, proprio come fa uno scrittore. Dire che la musica per me sia tutto è quasi riduttivo: tra le ore che dedico allo studio e le esibizioni è davvero la mia vita.


Non solo concerti ed esibizioni, la vita del musicista richiede studio costante, impegno e sacrifici. Quanto è importante la formazione continua, accanto all’estro artistico, per chi volesse intraprendere questa professione?

La formazione continua è la cosa, in assoluto, più importante per chiunque voglia fare il musicista di professione, soprattutto per quanto riguarda la musica classica. Lo strumento deve diventare un vero e proprio prolungamento del violinista ed è importante iniziare da bambini. Naturalmente bisogna avere un talento naturale: ci sono bambini portati per la musica e altri più propensi verso altre discipline. Se dovessi fare un paragone, lo studio di uno strumento non è molto diverso dall’allenamento sportivo: il concerto o la gara sono solo la punta dell’iceberg, sotto ci sono ore e ore di allenamento e preparazione, con impegno ed entusiasmo. Senza esercitarsi quotidianamente, nella musica, come nello sport, non si può mantenere sempre lo stesso livello di eccellenza: ecco perché lo studio è così importante. Spesso il pubblico non immagina cosa ci sia dietro a un’esibizione e si gode il momento più bello di questo mestiere, tralasciando la fatica che tutto ciò comporta per un professionista, tra studio e viaggi per il mondo. Tutto ciò, ovviamente, implica anche una grandissima soddisfazione per i professionisti: personalmente suonare è quello che ho sempre voluto fare nella vita e il piacere che ne deriva, per me, è sempre superiore al sacrificio, altrimenti non mi sarei dedicata totalmente alla musica con tale dedizione.

Sei riuscita a fare di un sogno un vero e proprio mestiere a un livello d’eccellenza: è ancora possibile oggi, secondo te, fare della musica una professione a tempo pieno? Qual è il segreto per bilanciare e conciliare carriera e vita privata? Fai un bilancio della tua esperienza, tra ostacoli e soddisfazioni.

Con amore, impegno e un pizzico di fortuna, è possibile diventare musicisti professionisti anche in un periodo economicamente difficile come quello che stiamo passando. Ci sono tanti giovani di talento che si stanno facendo strada in questo settore e non bisogna dimenticare che ci sono tanti sbocchi professionali per un musicista: dall’orchestra, all’insegnamento. La maggior parte dei miei compagni di Conservatorio oggi hanno un’occupazione soddisfacente in questo campo, anche in ambiti molto diversi. Di sicuro fare il solista, incidere dischi e viaggiare per il mondo è meno frequente, ma si può vivere di musica in molti modi e con altrettanta soddisfazione. Ci vuole grande determinazione per entrare in questo settore e altrettanta per rimanervi e vedere che tanti compagni di studi sono riusciti a realizzarsi è stato per me un grandissimo piacere, oltre che una speranza per il futuro. Ricordo quando i miei genitori mi misero in guardia, da piccola, spiegandomi che la musica è una disciplina competitiva, soggetta a giudizi e delusioni, ma niente è impossibile mettendoci tutto l’impegno necessario e io non mi opporrei mai al desiderio di un bambino di coltivare questa passione, col sogno che, da grande, possa diventare il suo mestiere.

Foto di Davide Cerati

Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che, nel tuo percorso da musicista, è rimasta particolarmente scolpita nella tua memoria e nel tuo cuore.

Ricordo davvero tanti episodi che mi hanno cambiata, nel corso dei miei studi e della mia vita, e che mi hanno aiutata a crescere e a maturare, comprese tante frustrazioni, dai concorsi andati male, alle critiche poco costruttive. Tuttavia quello che più resta nel cuore sono sempre i bei ricordi, in particolar modo gli incontri coi grandi colleghi e direttori d’orchestra, spesso miei miti, coi quali ho avuto la possibilità di fare musica, duettando. Anche il rapporto coi miei Maestri, Daniele Gay e Salvatore Accardo, mi ha dato tanto, non solo in qualità di allieva, ma soprattutto dal punto di vista emotivo.
Uno dei ricordi più belli risale ai miei sedici anni, quando ebbi la possibilità di suonare la Sinfonia Concertante di Mozart al Teatro dell’Opera di Tel Aviv con uno dei più grandi violinisti viventi, Shlomo Mintz.
Questa esposizione al pubblico, sin da piccola, mi ha dato tante emozioni, ma mi ha reso anche fragile sotto molti punti di vista, quindi è difficile selezionare un episodio tra i tanti ricordi che conservo gelosamente. Anche l’incisione degli album, assieme alla collega Francesca Leonardi, con la Deutsche Grammophon, una delle più importanti case discografiche per quel che riguarda la musica classica, è stata una delle soddisfazioni più grandi che abbia mai avuto, oltre che una grande opportunità di lavoro al di fuori delle esibizioni e dei concerti.

A cosa stai lavorando attualmente? Svelaci i tuoi progetti per il futuro.

Dopo aver debuttato a Londra, in aprile, con la Philarmonia Orchestra, con grandissima soddisfazione, ho avuto molte date in giro per l’Europa e per l’Italia e, attualmente, mi trovo in Sud America per una serie di esibizioni. Nei prossimi mesi, inoltre, sarò in Giappone per un nuovo tour asiatico.

www.francescadego.com