mercoledì 3 febbraio 2016

Claudio Vergnani: il mio omaggio a Lovecraft


Claudio e Vergy sono tornati. I due irresistibili investigatori dell’occulto, che abbiamo accompagnato in tante altre avventure all’insegna della paura, stavolta hanno un compito davvero importante. Hanno accettato l’incarico di accompagnare, come guardie del corpo, il Professor Franco Brandellini, nel corso di una visita presso uno strano parco divertimenti ispirato, in tutto e per tutto, alla nota Innsmouth lovecraftiana. La cittadina immaginaria, nata tra le pagine del maestro dell’horror, sembra proprio prendere vita sulle coste del Massachussetts e una serie di stravaganti turisti si lasciano avviluppare dall’atmosfera da brivido, cercando di rivivere le emozioni provate leggendo il grande autore americano. Ma cosa si nasconde dietro agli strani rituali ai quali tutti prendono parte con tanto entusiasmo? È tutta una recita o, sotto le maschere dei vari figuranti, c’è qualcosa di spaventosamente reale?
Per scoprirlo non ci resta che leggere “Lovecraft’s Innsmouth”, il nuovo romanzo di Claudio Vergnani, Dunwich Edizioni. Innovativo e pungente: lo stile dell’autore ha qualcosa di unico che riesce a coniugare sapientemente il ritmo incalzante dei dialoghi al vetriolo, con le inquietanti descrizioni del male che minaccia continuamente i protagonisti e tutto ciò che li circonda. La costruzione della storia è originale e convincente. Il terrore è talmente ben amalgamato all’ironia che, a volte, è perfino difficile star dietro a tutti i personaggi, scena dopo scena, in un crescendo di tensione che ci guida verso un epilogo davvero sorprendente.



Un’avventura surreale e terrificante, in bilico tra paura e ironia: raccontaci la genesi del tuo nuovo romanzo, “Lovecraft’s Innsmouth”, Dunwich Edizioni, cosa ti ha ispirato durante la stesura?

Ho parlato proprio di questo in una nota introduttiva al romanzo che ho scritto e postato sulla mia pagina Facebook. La ripropongo con piacere:

Tutto è iniziato da un libro. Cosa non sorprendente, immagi­no. Si trattava di un’antologia firmata da molti autori, alcuni celebri (King), altri meno. Racconti senza relazione tra loro che non fosse il mondo di H. P. Lovecraft. Racconti che citavano personaggi già comparsi nella produzione del solitario di Provi­dence o altri, inventati, ma in linea con la celeberrima cosmogo­nia.
Scovai tale antologia casualmente in biblioteca, frugando tra gli scaffali in cerca di qualcosa che potesse solleticare la mia ormai incallita curiosità. Pur riconoscendone le indubbie doti, non sono mai stato un lettore troppo convinto delle opere di Lovecraft, ma quell’antologia mi attirava. Prometteva una vi­sione più recente di un universo immaginativo unico nella storia della letteratura (non “di genere”, intendo proprio della letteratura tutta).
Era il libro che avrebbe potuto dirmi come Lovecraft era “sopravvissuto” e come era stato “traghettato” tra i lettori 2.0.
La curiosità era stimolata. Lo presi.
Il tempo di aprirlo e di leggere qualche pagina per scoprire che tale libro non esisteva. Almeno non quello che avevo cre­duto io. L’antologia era costituita di una serie di racconti dove gli autori si limitavano ad imitare lo stile di Lovecraft con il torto però di non essere lui.
Sono arrivato in fondo, come sono arrivato in fondo all’unica maratona cui ho partecipato nella mia vita. Stringendo i denti e strisciando sulle ginocchia. Felice di aver finito e deciso a non ripe­tere l’esperienza.
Ho fatto leggere l’antologia a un amico (un vero “talebano degli Old Ones”) e anche lui – pur tributando il doveroso e mistico rispetto al suo idolo – ha ammesso che “i racconti non dicono molto”.
E se non dicono molto, che racconti sono?
Quantomeno non dicono nulla che Lovecraft non avesse già detto, con la freschezza dell’originalità.
Iniziò la discussione che vi risparmio e che si può riassumere in poche parole: È possibile oggi scrivere “su” Lovecraft dicen­do qualcosa di nuovo senza tradirne lo spirito?
Si poteva perlomeno tentare. Ecco quindi Lovecraft’s Inn­smouth…”

Chi sono Claudio e Vergy, i due investigatori dell’occulto, protagonisti di questo libro e di molte altre avventure? Come li definiresti e, in generale, come delinei i personaggi delle tue storie?

Mi piace considerarli due uomini. E che, come tali, rifiutano le bassezze di una società indegna e preferiscono lottare su più fronti, quando spesso, invece, sarebbe più semplice arrendersi e farne parte. Fanno ciò che fanno per necessità, e non per convinzione o per qualche infantile slancio eroico, consci che la verità di oggi è la menzogna di domani. E viceversa. Rinuncerebbero volentieri alla violenza insita nella loro professione – e, per quel che possono, la rifuggono – ma sanno anche molto bene che la vita ha affidato loro un ruolo, e non è facile sottrarsene. Daltro canto, chi deve fare le cose difficili? Chi può.

L’horror, in tutte le sue sfaccettature, è decisamente il tuo genere. Che scrittore sei? Quando hai scoperto questa passione e da dove nasce la tua esigenza di scrivere?

È abbastanza casuale che io scriva horror. In realtà, infatti, il mio horror è pieno zeppo di contaminazioni di altri generi. Sono un lettore onnivoro e i generi mi sono sempre parsi un modo – onesto e sensato – per permettere al lettore di orientarsi, ma nulla di più. Tanto per essere chiari, non credo che se in un titolo io inserisco la parola “cuore” allora automaticamente il romanzo in questione sarà più profondo nel parlare d’amore. Però ritenevo – e ritengo – che l’horror possa essere un recinto letterario all’interno del quale possano verificarsi eventi che toccano in profondità l’animo umano, se “affrontato” in un certo modo.

È ancora possibile oggi, secondo te, fare della scrittura una professione a tempo pieno? Che ostacoli hai incontrato e incontri ancora oggi nel tuo percorso?

Per me no. Per altri non so. Sugli ostacoli non saprei che dire. Forse la crisi, il drastico calo dei lettori, un Paese che non brilla (al di là di quanto voglia far credere) per apertura intellettuale e per diffusione della cultura, ma la verità è che ciò che è più duro da affrontare, per me, è il sospetto che molti lettori odierni preferiscano la ripetizione all’innovazione.

A cosa stai lavorando attualmente? Raccontaci quali sono i tuoi progetti per il futuro.


Sto lavorando a un noir che dovrebbe uscire la prossima primavera. Credo sia un bel romanzo, dove elementi fantastici si fondono con altri d’attualità, in una miscela che spero possa risultare estraniante per il lettore. La domanda però è: al lettore italiano medio piace che un romanzo mischi le carte in tavola e gli sottragga quel placido abbandonarsi che è rappresentato da una lettura prevedibile? Se saremo in grado di rispondere a tale domanda conosceremo – al di là di tante congetture, discussioni e ipotesi – il reale stato dell’editoria e della lettura come fenomeno di costume in Italia. Personalmente, non ho tale risposta; anche per questo non me la sento di fare altri progetti “letterari”.


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