lunedì 27 luglio 2015

Laura Barbieri: sette anni senza mio figlio, Davide Barbieri


Questa è la storia di una domenica d’estate e di un cancello aperto sul nulla. Quel nulla che sembra aver inghiottito Davide Barbieri il 27 luglio del 2008, quando si allontana dalla Comunità Lahuèn di Orvieto, oltrepassando quel cancello che aveva volontariamente varcato pochi giorni prima, cercando una cura per il suo disagio mentale.
Questa è una storia di responsabilità. Qualcuno doveva vigilare su Davide? Oppure no?
Davide è un ragazzo di ventisette anni dal sorriso enigmatico, che non ha alle spalle un passato semplice. Cresciuto insieme alla mamma, Laura Barbieri, a soli otto anni è vittima di un grave incidente che lo tiene in coma per giorni e che, anche dopo il sospirato risveglio, segnerà irrimediabilmente la sua vita, causandogli uno squilibrio interiore dal quale non riuscirà più a riprendersi. Davide, infatti, alterna momenti di depressione e collera a attimi di lucida tranquillità. Si sente solo, inadeguato, a volte incompreso. Cerca aiuto e, nello stesso tempo, ha paura di guardare troppo a fondo nell’abisso che ha dentro. Solo la mamma Laura gli è accanto.
Questa è una storia di volontà. Qualcuno poteva vigilare su Davide? Oppure no?
Laura è combattuta, ha pudore del suo dolore, anche dopo tanti anni. Sente che, se potesse, Davide darebbe notizie di sé. Non resterebbe tanto a lungo volontariamente lontano da lei, che è sempre stata il suo unico punto di riferimento. Spera che Davide stia bene e sia finalmente sereno, ma, nello stesso tempo è preoccupata. Percepisce che quel figlio che sembra nato sotto una cattiva stella vorrebbe tornare a essere la costellazione più luminosa del firmamento della sua vita, ma, forse, qualcosa glielo impedisce.
Questa è una storia di possibilità. Chi farà qualcosa per cercare Davide e riportarlo a casa?


Chi è Davide? Raccontaci la sua storia.

Davide è un figlio speciale: premuroso e attento. Purtroppo è stato rifiutato dal padre sin dal primo momento, ma, nello stesso tempo, è stato voluto e atteso con immensa gioia e trepidazione da me, che ho cercato di dargli tutto ciò che potevo, anche se la mancanza della figura paterna, oltre a una serie di tristi vicende accadute nel corso della nostra vita, hanno contribuito ad accrescere la sua profonda fragilità.
Davide era un bambino intelligente e sensibile. A scuola era sempre attento e preparato: gli bastava ascoltare la lezione per capirla e saperla ripetere a parole sue. A otto anni, mentre si recava a un incontro degli Scout, una macchina lo ha investito in pieno, procurandogli un trauma cranico che lo ha tenuto in coma per quindici giorni. Il dottore che all’epoca si è preso cura di Davide mi aveva dato poche speranze: nessuno poteva dire se o quando si sarebbe risvegliato, quindi, quando gli ho visto riaprire gli occhi, dopo due settimane di tormento, per me è nato una seconda volta.
Tuttavia, negli anni successivi, nessuno seppe guidarmi o consigliarmi al meglio: non immaginavo che, come esiste la riabilitazione in seguito a traumi fisici, c’è una particolare forma di riabilitazione anche per chi si risveglia da un coma, utile a riprendere al meglio tutte le funzioni cognitive ed emotive. Sono venuta a sapere di queste tecniche solo molto tempo dopo, quando Davide era ormai adulto e aveva iniziato a mostrare segni di disagio. I primi sintomi si sono rivelati quando Davide aveva circa sedici anni: pian piano, si è isolato dal resto del mondo, rifiutando qualsiasi tipo di contatto. Io all’inizio ho faticato a capire cosa stesse accadendo: una mamma non è mai completamente oggettiva quando si tratta del proprio figlio. Davide era apatico, non reagiva più a nulla di ciò che accadeva attorno a lui. Io facevo di tutto per scuoterlo e stimolarlo, ma non ottenevo mai nulla, così mi sono resa conto che, probabilmente, mio figlio necessitava di un altro tipo di aiuto.
Il vero crollo, però, c’è stato dopo la morte della nonna con la quale Davide è cresciuto. Da quel momento sono iniziati i primi veri segni di squilibrio e anche io ho dovuto ammettere a me stessa che era giunto il momento di chiedere aiuto, perché mio figlio era malato. Così è iniziato il nostro calvario tra ospedali e cliniche, ma senza grandi miglioramenti, purtroppo. Abbiamo provato veramente di tutto, girando per gli studi degli specialisti più conosciuti. Davide stava molto male, ma, in un certo senso, ne era consapevole e voleva essere aiutato a uscire dai labirinti oscuri della sua mente.
Per cercare di seguire il percorso di recupero necessario alla guarigione di Davide, dalla Sicilia, ci siamo trasferiti a Roma: è stato molto difficile per entrambi, ma la motivazione era così forte, che anche io sono riuscita a trovare una nuova casa e un nuovo lavoro che mi permettesse di stare più vicino possibile a Davide.
Dopo molte vicissitudini e un lungo percorso di cure, nel luglio 2008, Davide, consigliato dal Centro Salute Mentale, ha deciso di entrare nella Comunità Lahuèn di Orvieto. Si tratta di una comunità a doppia diagnosi della quale ci avevano parlato molto bene, così abbiamo fatto il possibile per riuscire a far entrare Davide e, una volta raggiunto l’obiettivo, eravamo davvero contenti e pieni di aspettative verso questo nuovo cammino.
Ma forse, ancora una volta, Davide non ha incontrato le persone giuste, in grado di seguirlo per come lui aveva bisogno. Quante volte mi sono chiesta se non sia nato sotto una cattiva stella e se io stessa non abbia saputo fare abbastanza per quella malattia dell’anima che lo consumava.



Quando è stato visto l’ultima volta? Cosa è accaduto il giorno della scomparsa?

Era una tristissima domenica d’estate, il 27 luglio 2008, quando, intorno alle due e mezza del pomeriggio, ricevo una telefonata dalla Comunità Lahuèn con la quale mi informavano che Davide si era allontanato circa tre ore prima e non era ancora tornato. Puoi immaginare il mio sgomento e la mia preoccupazione. Hanno tentato di tranquillizzarmi in ogni modo, dicendo che, statisticamente, quando un paziente si allontana volontariamente, è solo per fare ritorno a casa, quindi dovevo semplicemente aspettare di vedere Davide rientrare e tutto si sarebbe sistemato. Ho chiesto se lo avessero cercato e loro mi hanno risposto di averlo seguito per un tratto di strada, chiedendogli se volesse tornare in Comunità, ma lui avrebbe detto di no e così lo hanno lasciato andare, rispettando la sua scelta.
Le ore passavano e io ero sempre più in ansia, perché non avevo nessuna notizia di Davide. Dopo due giorni, sempre in contatto con la Comunità, continuavo a chiedere spiegazioni sulle circostanze dell’allontanamento di Davide: se avesse trovato il cancello aperto o avesse scavalcato il muro di cinta e soprattutto in che stato fosse, ma nessuno mi dava risposte soddisfacenti, oltre ad ammettere che il cancello probabilmente era aperto. Nessuno sapeva dirmi come fosse vestito e di sicuro non aveva con sé né soldi, né documenti, quindi la mia preoccupazione cresceva di minuto in minuto, ma ho continuato a dare fiducia ai responsabili della Comunità.
A quasi una settimana dalla scomparsa, però, ho deciso di andare a fare la denuncia di scomparsa e sono iniziate le ricerche.



Come si sono svolte le ricerche in questi anni? Chi vi sta più accanto concretamente e quotidianamente?

Le prime ricerche sono state fatte i primi di ottobre del 2008. Durante i mesi estivi tutto è rimasto fermo e forse si è perso del tempo prezioso. Nel corso degli anni successivi ho potuto constatare che l’attenzione sul fenomeno degli scomparsi è cambiata e si è presa maggior consapevolezza della gravità di questi casi.
L’Associazione Penelope ci è stata da subito molto accanto, anche nelle ricerche. Ricordo che, immediatamente dopo la scomparsa, lo stesso Gildo Claps, allora Presidente dell’Associazione, si è battuto per noi, perché si facessero delle vere e proprie battute di ricerca nei dintorni di Orvieto.
Una seconda ricerca più approfondita è stata fatta, grazie all’intervento della trasmissione “Chi l’ha visto?”, nel gennaio dell’anno successivo alla scomparsa, ma purtroppo, anche in questo caso, non è emerso nulla.
Per il resto sono rimasta sola. Tra l’altro non ho nessun parente vicino e solo il mio compagno mi è stato accanto col suo ottimismo e la sua sensibilità, tenendo sempre vive le mie speranze.



Che ruolo svolgono, o potrebbero svolgere, secondo te, l’opinione pubblica e tutti i mezzi d’informazione di fronte a un caso di scomparsa?

L’informazione mediatica è quella più efficace in assoluto in questi casi e molti giornalisti che si occupano seriamente di queste storie, approfondendole, vanno ringraziati. Ma purtroppo solo alcuni casi diventano realmente fenomeni mediatici, anche in modo esagerato e morboso, mentre altri rimangono dimenticati e ignorati e sono la maggioranza.
Anche l’Ufficio del Commissario per le Persone Scomparse svolge un ruolo importante: ultimamente sono stati fatti anche i piani provinciali per le Prefetture, ma c’è ancora tanta strada da fare.
Nell’insieme, comunque, c’è molta più sensibilizzazione e competenza, rispetto a qualche anno fa, ma dovrebbero formare delle squadre apposite che si occupino solo di scomparsi, sviluppando un senso investigativo adeguato. Ciò che manca realmente, forse, è proprio la formazione, oltre all’informazione. Non sempre una scomparsa può essere classificata come volontaria, quando dietro ci sono dei problemi, soprattutto di salute. E tutto ciò si somma al dolore costante che provano le famiglie.
Personalmente ho un grande pudore ad esporre la mia sofferenza, ma sono consapevole che l’unico modo perché le cose cambino è espormi in prima persona e cerco sempre di farlo seguendo la mia indole riservata. Mi domando sempre cosa potrebbe essere, agli occhi degli altri, la mia storia. Per molti potrebbe non significare nulla. Cos’è per il Mondo la scomparsa di un essere umano su tanti miliardi di persone? Siamo solo dei numeri gli uni per gli altri? Non so dirlo, ma non posso restare in silenzio, perché Davide era, è e sarà sempre il Mio Mondo.
La mia fede e la mia speranza mi sostengono e non devo abbattermi, perché quando Davide tornerà avrà bisogno di me.



Oggi ricorre il settimo anniversario dalla scomparsa di Davide: cosa gli diresti se sapessi che sta leggendo le tue parole? Rivolgiti direttamente a lui.


Davide, se la tua è stata una scelta di libertà, perché sentivi il bisogno di vivere solo secondo i dettami del tuo cuore e della tua anima, non sopportando più ciò che ti circondava, io sono felicissima per te. Però fammi sapere che ce l’hai fatta! Dammi un segno della tua ritrovata serenità, per poter dare tranquillità anche a me. Vorrei solo sapere che sei diventato un uomo: autonomo e padrone di te stesso e delle tue azioni e io ne gioirò per prima. Vorrei solo che mi dicessi: mamma sono libero e forte, sano e consapevole e adesso sono felice.

www.cerchiamodavide.org

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