lunedì 13 luglio 2015

Chantal Milani: chi è l’Antropologo Forense

L’analisi dei resti umani a servizio dell’Autorità Giudiziaria è un procedimento complesso, eppure di grande fascino e interesse, soprattutto adesso che le indagini scientifiche hanno un ruolo fondamentale, sia in campo civile, sia in campo penale. Ma quanto ne sappiamo davvero di ciò che riescono a fare i nostri esperti in materia? Dimenticate Bones e CSI e non perché gli antropologi italiani siano da meno dei personaggi delle nostre serie preferite, ma perché si tratta di un lavoro molto più difficile e impegnativo di ciò che potete vedere in TV.
A cominciare dalla formazione, accurata e specifica, passando attraverso le esperienze sul campo, sia in Italia, sia all’estero, fino alla scelta delle varie specializzazioni, il percorso di chi voglia avviarsi a questa professione è lungo e in continua evoluzione, quindi è necessario intraprenderlo con la giusta consapevolezza e una grande dose di entusiasmo.
Ma cosa fa, quotidianamente e concretamente, un Antropologo Forense? Ce lo spiega nel dettaglio e in modo chiaro e semplice Chantal Milani, Antropologa e Odontologa Forense di grande esperienza e professionalità, svelandoci molti e interessanti retroscena degli addetti ai lavori.


Chi è l’Antropologo Forense e quale percorso formativo hai intrapreso per svolgere la tua professione? 

Difficile da spiegare in modo semplice e sintetico. Se dovessi usare una parola sola direi ossa, ma è quanto mai riduttivo. L’Antropologia Forense è l’applicazione dell’Antropologia Fisica alle necessità dell’Autorità Giudiziaria. A sua volta l’Antropologia fisica, si occupa dell’analisi delle ossa e degli aspetti ‘fisico-biologici’ dell’uomo. Quello che deve differenziare un antropologo forense da un antropologo fisico generico è la formazione strettamente mirata all’ambito giudiziario, poiché deve andarsi ad inserire nel contesto delle scienze forensi. Pertanto è preferibile che l’antropologo forense provenga da una formazione scientifica e non umanistico-archeologica e che abbia integrato il proprio percorso formativo con ampie nozioni di giurisprudenza, tecniche di sopralluogo e un’infarinatura delle altre scienze forensi con cui dovrà interagire. Io, nello specifico, sono un medico odontoiatra con un Master in Scienze Forensi e tutta una serie di perfezionamenti nel settore dell’Antropologia Forense e dell’Odontologia Forense in Italia e all’estero. Quando iniziai io, in Italia, queste materie erano quasi sconosciute.

Di cosa ti occupi concretamente? Quali sono le cose che vengono chieste più di frequente?

L’antropologia forense si occupa dell’analisi di resti umani molto compromessi, qualsiasi sia il fenomeno che li abbia resi tali: ripescati in acqua, carbonizzati, mummificati, depezzati, scheletrizzati o semplicemente in avanzata decomposizione. Avendo buone basi di informatica mi occupo anche di comparazioni fisionomiche e antropometriche da immagini di videosorveglianza.
Uno dei quesiti che mi vengono posti con una certa frequenza è l’identificazione personale, quindi riuscire a dire a chi appartiene il corpo. L’identificazione su base dento-scheletrica è una delle forme identificative ufficialmente riconosciute anche dall’Interpol, al pari delle impronte digitali e del DNA.
A volte mi viene semplicemente chiesto se si tratta di resti umani o animali, anche quando i frammenti sono piuttosto piccoli.  O ancora la causa di morte o del trauma subito, l’analisi delle lesioni ossee e i meccanismi che possono averle prodotte.
Per quanto riguarda le comparazioni fisionomiche, viene chiesto se i volti immortalati da telecamere sono compatibili con quelli di potenziali indagati.
Un’altra domanda frequente – e qui siamo nel settore specifico dell’odontologia forense – è la stima dell’età anche in soggetti viventi per sapere se hanno raggiunto i 14, i 18 anni e così via.
E poi ci sono le impronte di morsicatura, i cosiddetti bitemarks, inferti su una persona o un oggetto presente sulla scena e che potrebbero ricondurre a chi li ha inferti, associando “morsicato” e “morsicatore” oppure collegando un determinato individuo all’oggetto presente in un dato luogo e di conseguenza il soggetto a quella scena.
Le arcate dentali e, più in generale, le strutture dento-scheletriche sono diverse per ciascun individuo: i denti, sia presenti, sia assenti, la loro disposizione e morfologia più una serie di altre particolarità sono assolutamente unici e ci permettono di rispondere ad un sacco di domande.


Nella tua carriera hai avuto modo di fare molta esperienza all’estero: quali sono le differenze che hai potuto notare, rispetto al nostro Paese? Quanto è importante tenersi costantemente aggiornati e informati su tecniche in continua evoluzione?

C’è ancora molta differenza. Negli Stati Uniti, ad esempio, sanno lavorare davvero in squadra: team multidisciplinari con una grande apertura e disponibilità verso i colleghi.
Lavorare così è una meraviglia, stimolante e costruttivo da ambo le parti e non si finisce mai di imparare, da chiunque, anche da chi svolge compiti molto diversi, seppur nello stesso contesto operativo. Lavorare “con qualcuno” è molto diverso da lavorare “per qualcuno”. Inoltre le Autorità sanno esattamente cosa siano l’Antropologia e l’Odontologia Forense e di cosa si occupino e quindi ne sfruttano ogni potenzialità. Richiedere la cosa giusta al momento giusto è un grande risparmio di tempo e di denaro pubblico. Noi italiani abbiamo il vantaggio di essere più elastici. Bisognerebbe saper unire le due cose.
Formarsi con accuratezza fin da subito e tenersi in costante aggiornamento è sicuramente fondamentale. La scienza e la tecnologia evolvono in continuazione e, soprattutto oltreoceano, la ricerca in questo settore è molto attiva.

Raccontaci un episodio, un aneddoto, una storia che, in questi anni di professione, è rimasta particolarmente scolpita nella tua memoria. Che insegnamento hai ricavato da questa esperienza?

In generale questo lavoro mi ha insegnato ad andare oltre le apparenze, di ciò che sembra a prima vista, perché sono i dettagli che fanno la differenza. Nello specifico, ho molto a che fare con il mondo delle Persone Scomparse. Famiglie meravigliose toccate da un dolore che rimane dormiente ma che non si cancella mai. Cercano i propri cari e vorrebbero anche solo un cenno, un pensiero, sapere che non sono state dimenticate. Le persone e le associazioni sono molto attive, parlano, manifestano e in questi anni, con grandi sforzi, sono riusciti a ottenere l’attenzione delle Istituzioni.
I cadaveri sconosciuti sono più silenziosi, ma ci sono. E sono tanti, quasi 800 in tutta Italia. Non bisogna dimenticare, mai, che dietro ad un cadavere senza nome c’è una persona scomparsa che qualcuno sta ancora cercando, fosse anche solo per avere una tomba su cui portare un fiore. Stendere un profilo antropologico del corpo per cercare uno scomparso compatibile, può fare davvero la differenza.
L’altra esperienza che mi ha sempre fatto riflettere, avendo visto diversi casi dall’“interno” ed essendo a conoscenza degli Atti, è quanto, a volte, siano fuorvianti e incomplete le notizie che giungono alla popolazione attraverso i media. Talvolta è su quelle che si forma l’opinione pubblica giudicando “colpevole” o “innocente” qualcuno su basi che molto spesso non sono quelle reali. Io sono sicuramente all’oscuro dei meccanismi che stanno dietro alla “Notizia” e al giornalismo di cronaca, ma invito, col cuore in mano, ad andare davvero a fondo delle cose, senza lasciarsi incantare frettolosamente da presunti indizi.  Che si scavi, negli atti letti in versione integrale, nelle informazioni, anche le più piccole, senza sposare una tesi, ma andando a fondo per vedere se per caso esiste un’altra Verità, magari meno evidente e luccicante, ma più ‘Vera’. Perché la responsabilità di chi diffonde la Notizia è grande: dirige gli animi, le menti tutte. Ed ha il potere di cambiare, più o meno direttamente, le vita delle persone coinvolte.


Che consiglio ti senti di dare a chi volesse intraprendere il tuo stesso percorso professionale? Parlaci dei progetti nei quali sei attualmente impegnata e dei tuoi programmi per il futuro.

Il mio consiglio è di non pensare di ritrovarsi in un episodio di CSI o Bones. È un lavoro impegnativo, senza orari, e retribuito a vacazione (poco più di 4 euro lordi l’ora): riesci a farlo solo se hai una passione sviscerata. Il consiglio è di andare all’estero, sia per apprendere, sia per avere una panoramica a trecentosessanta gradi anche dei metodi e delle differenze di approccio.  Da giovani è più facile trascorrere periodi formativi all’estero. Col passare del tempo diventa sempre più complicato. Quindi: carpe diem.
Ultimamente mi sto occupando di qualche caso ‘caldo’ e qualche caso ‘freddo’. Oltre al cercare di far conoscere il più possibile le mie materie ai giovani, ai colleghi, alle Istituzioni. Farle conoscere con le potenzialità e i limiti che hanno tutte le materie. Questo è davvero un buon proposito anche per il futuro.

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