venerdì 17 luglio 2015

Antonio Finazzi Agrò: chi è il Progettista Sociale


Spesso commettiamo l’errore di pensare che qualsiasi progetto che nasce in ambito sociale debba essere condotto unicamente con lo slancio emotivo dal quale nasce, in virtù degli obiettivi di carattere generale che lo stesso termine “sociale” rievoca in noi. In realtà anche quando lo scopo dei nostri programmi è a favore della collettività, nulla ci impedisce di affidarci a qualcuno che lo sublimi, pur improntando l’attività sulla cosiddetta mentalità imprenditoriale. Ecco come nasce l’esigenza di dar spazio, da qualche decennio a questa parte, a una nuova figura professionale, ancora poco conosciuta, che unisce le strategie che le aziende attuano nel Secondo Settore, agli obiettivi che si pone il Terzo. Si tratta del Progettista Sociale, un professionista che si occupa, per conto di un’organizzazione, di ideare, pianificare e gestire, lungo tutto il percorso necessario, progetti di intervento sociale e socio-sanitario. Ma chi è e cosa fa concretamente il Progettista Sociale? Ce lo spiega Antonio Finazzi Agrò, fondatore e Presidente dell’Associazione Italiana Progettisti Sociali.   


Chi è il Progettista Sociale? Quali sono le sue competenze e che ruolo svolge o potrebbe svolgere?

Il progettista sociale è una figura relativamente nuova nel panorama delle professioni sociali. In realtà se ne parla dagli anni ‘70, da quando furono introdotti nella cooperazione allo sviluppo i primi modelli metodologici di intervento (in particolare il modello del Ciclo di Vita di Progetto) a seguito dei fallimenti registrati dai grandi programmi di cooperazione internazionale.
Anzitutto devo dirti che del progettista sociale si sa poco. Ne sanno poco le organizzazioni e, talvolta, perfino chi esercita come progettista sociale ha una debole “autocoscienza” professionale. Diciamo che, normalmente, è visto come uno che si occupa di scartoffie per accedere a contributi pubblici e privati. In pratica una specie di esperto di finanziamenti al Terzo Settore. Noi crediamo che questa visione è estremamente riduttiva, e indebolisce tutto il nostro settore, che invece ha un estremo bisogno di seria “progettazione sociale”. Per dirti chi è il progettista sociale utilizzo, semplificandola un po’, la definizione che abbiamo adottato nel nostro Codice di Condotta Etico e nella elaborazione di quello “standard” su cui stiamo lavorando insieme ad UNI (Ente Italiano di Normazione) ed altri attori nazionali, tra cui Forum del Terzo Settore e Ministero del Lavoro, per giungere alla prima “Norma Tecnica sulla professione”. Il progettista sociale è quel professionista che si occupa, per conto di un’organizzazione, dell’ideazione, pianificazione, gestione, controllo e monitoraggio, valutazione e rendicontazione di progetti di intervento sociale e socio sanitario. Dunque non solo “scrittura” del progetto, ma anche e tanto più gestione e valutazione dell’intervento. Esattamente come il project manager in ambito aziendale. Con in più una caratteristica: la progettazione sociale investe sempre un “interesse generale”, qualunque sia il suo settore specifico di intervento. Si fa progettazione sociale anche quando ci si occupa di cultura, o di scuola, o di formazione, o, addirittura, di ambiti estremamente settoriali come l’agricoltura, la ricerca scientifica o il progresso tecnologico, ogni qual volta si punta al miglioramento e cambiamento da imprimere a quei complessi mondi di vita che sono le società e i contesti in cui queste si manifestano. Non è un caso che la progettazione sociale molto spesso si collega alle agende istituzionali europee, nazionali, regionali, locali: è una sorta di “braccio operativo”, di cinghia di trasmissione che trasforma in azioni concrete gli obiettivi e le priorità che una collettività si pone.

Quali sono gli scopi dell’Associazione Italiana Progettisti Sociali? Come si può sostenervi concretamente?

APIS, che è un acronimo un po’ meno cacofonico di Associazione Italiana Progettisti Sociali. Si tratta prima di tutto, anzi, direi esclusivamente, di una comunità professionale, che ha lo scopo di favorire lo scambio tra colleghi, la costruzione di un’identità comune, la riflessione sul proprio lavoro e la formazione lungo tutto l’arco della carriera. Spesso capita di essere contattati da enti e singoli che ci chiedono consulenza, e ogni volta dobbiamo chiarire che non siamo una società di consulenza, che non facciamo progettazione sociale in conto terzi e che non svolgiamo alcuna attività commerciale, perché siamo una non profit costituita da persone – i progettisti sociali – al servizio di queste stesse persone. È per questo che i nostri “servizi” sono gratuiti o quasi: ci basiamo essenzialmente sul volontariato professionale, perché crediamo che una grande risorsa, senza la quale il nostro lavoro quasi non può essere svolto in modo serio, è proprio la generosità professionale. Quella generosità che ci porta a non essere gelosi dei nostri saperi, delle nostre acquisizioni, delle nostre specificità, ma, anzi, a volerli comunicare e diffondere il più possibile, perché, in fondo, crediamo che servano alla società… se ci pensi, siamo un po’ il contrario di un ordine professionale!
Come aiutarci? Beh, la nostra storia lo dice da sè: APIS nasce dalla generosità di alcuni colleghi esperti di altri settori, oltre che del Terzo Settore, che hanno messo a disposizione gratuitamente le proprie competenze, e che da anni svolgono volontariato come docenti in ogni nostro corso. Un altro modo per aiutarci è diffondere la nostra missione, farla conoscere, sostenere il più possibile il nostro modello di agire sociale attraverso la comunicazione, proprio perché si condivide che non è un cambiamento che serve a noi, ma è, invece, orientato all’interesse generale.

Che ruolo gioca la formazione nella figura del Progettista Sociale? Qual è la vostra offerta formativa?

Abbiamo tre modalità di offerta formativa. C’è anzitutto quella che noi chiamiamo la “Formazione base”: un ciclo intensivo di 40 ore che organizziamo una volta l’anno, con costi il più bassi possibile, per non discriminare l’accesso dei partecipanti (non tutti hanno alle spalle grandi organizzazioni che possono sostenere investimenti formativi). È una sorta di porta di ingresso in cui costruiamo lo strumentario fondamentale della progettazione sociale e introduciamo alla professione soprattutto i nuovi. Molti nostri soci vengono proprio da quest’esperienza. Poi c’è la formazione continua su temi specializzati, che noi chiamiamo “pomeriggi di studio”: brevi seminari su tematiche specifiche o di particolare attualità, che durano più o meno un’ora e che consentono un aggiornamento continuo. Sempre più organizziamo questi eventi in streaming, perché i nostri soci sono in tutta Italia. Ma cerchiamo di organizzarli con un gruppo fisico presente, perché teniamo moltissimo all’aggregazione a allo scambio tra i partecipanti. Infine stiamo per lanciare una terza modalità, la “sala virtuale del mentoring”, un momento fisso nel mese di scambio in streaming tra un gruppo di soci più giovani e un socio più esperto, nel quale i “junior” possono avere un confronto sui temi che in quel momento affrontano, magari per la prima volta.

Facciamo un bilancio del percorso intrapreso dall’APIS: quali sono gli obiettivi raggiunti con successo? E quali le difficoltà che incontra quotidianamente?

Non è facile tracciare un bilancio realistico. Personalmente non appartengo alla categoria dei Presidenti “trionfalistici”, non mi piacciono le autocelebrazioni, preferisco essere critico e credere che si sarebbe sempre potuto fare di più e meglio. Aiuta a crescere. Ciò nonostante ci sono delle cose di cui siamo particolarmente contenti. In questi anni (abbiamo appena compiuto sei anni, vuol dire che siamo pronti per la scuola primaria!) l’Associazione è molto cresciuta numericamente, ma, soprattutto, si è distribuita territorialmente. Siamo cento soci presenti in tredici regioni, cioè praticamente sull’intero territorio nazionale. Quest’anno si sono costituiti due coordinamenti locali, uno a Roma (APIS Roma) e uno in Lombardia (APIS Lombardia), e un altro si sta costituendo in Emilia Romagna. È un fatto importante, perché puntiamo a un modello diffuso e basato sull’interazione e lo scambio personale tra i soci, possibile solo a livello di territori. Poi quest’anno più del 70% dei nostri soci ha rinnovato la propria iscrizione. Ogni anno bisogna versare la quota e per noi è un importantissimo momento di verifica. Non si tratta di una gran cifra, ma essere disposti a versarla facendo la “fatica” del bonifico ci dice quanto i soci sentono di appartenere all’Associazione e si sentono legati. Se poi ci guardiamo indietro, ci accorgiamo di aver formato almeno settecento colleghi in tutta Italia, che significa aver condiviso un modo davvero nuovo di lavorare e immaginare la progettazione sociale. Poi ci sono tutti gli episodi virtuosi, quasi personali, di scambio, solidarietà professionale, mutuo sostegno. Potrei citarti decine di casi, capitati a me e ad altri soci. Davvero c’è da essere orgogliosi ad appartenere ad APIS!
Le nostre difficoltà? Direi che sono il riflesso delle nostre virtù. Il fatto di basarci esclusivamente sul volontariato professionale, in un quadro di attività e veri e propri servizi, ormai abbastanza articolato, comporta un grande sforzo e un grande impegno. A volte non vedo l’ora di passare il testimone come Presidente Nazionale. Se c’è una cosa che desidero è una maggiore partecipazione dei soci. Mi piacerebbe che davvero il più gran numero possibile di soci si sentisse e si coinvolgesse non solo come “percettore” di servizi, ma anche come protagonista della vita associativa, come volontario e promotore, insomma, per come sa e può. Poi c’è la grande sfida: essere un’Associazione Nazionale non è facile, raggiungere tutti nello stesso modo e garantire le stesse opportunità. Lo streaming dà una mano, ma lo scambio fisico è sempre un’altra cosa. Per questo crediamo nel modello dei coordinamenti territoriali; per ora ne abbiamo due, quasi tre, ma dobbiamo crescere molto. Ci occorrono referenti territoriali!

Raccontaci quali sono i progetti in cui siete attualmente impegnati e quali sono i vostri programmi per il futuro.

Indubbiamente il progetto più bello e ambizioso in questo momento è arrivare alla prima Norma Tecnica, in Italia e in Europa, sulla progettazione sociale. Nessuno lo ha mai fatto, sarebbe davvero un grande contributo alla comunità. È una possibilità che ci dà la Legge n. 4 del 2013, che riconosce le professioni non regolamentate da Ordini Professionali e il ruolo delle Associazioni Professionali nell’organizzare e codificare la professione. Stiamo lavorando con UNI, l’Ente Italiano sugli standard professionali di cui siamo soci dal 2014, e con attori importantissimi come Forum del Terzo Settore, ISFOL, Ministero del Lavoro. Tra l’altro questo percorso si sta rivelando incredibilmente fruttuoso, perché ci consente un confronto diretto con i soggetti che regolano la nostra professione. Era quello che sognavamo quando ci costituimmo nel 2009. Meglio di così…

Se continuiamo a lavorare con questa serietà e assiduità credo che nel 2016 la prima norma tecnica sulla professione, cioè il primo serio strumento di inquadramento e codifica “pubblica” del nostro lavoro, fatto insieme ai suoi principali portatori di interesse, sarà realtà. A quel punto non avrai bisogno di farmi un intervista per sapere chi è e cosa fa il progettista sociale!

www.progettistisociali.it

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