domenica 28 giugno 2015

Ursula Franco: il ruolo del Consulente della Difesa nel Processo Penale

Da quando la Legge n. 397/2000 ha introdotto il titolo VI bis nel nostro Codice di Procedura Penale, il difensore dell’imputato può svolgere le cosiddette indagini difensive, con l’obiettivo di raccogliere tutti gli elementi a favore del proprio assistito, ex art. 391 bis e seguenti c.p.p. Lo scopo della riforma è di dare alla difesa gli strumenti processuali idonei a esercitare le proprie funzioni in regime di parità con l’accusa, in ossequio ai principi costituzionali. L’avvocato difensore può, a questo proposito, avvalersi del supporto di investigatori privati autorizzati e consulenti tecnici, tra cui spicca, senza dubbio, la figura del criminologo, in grado di guardare l’insieme degli incartamenti raccolti con la capacità di cogliere gli elementi idonei alla difesa, grazie alla sua professionalità e competenza e all’abilità nell’interpretazione delle perizie.
Ma cosa fa realmente un criminologo quando veste i panni di consulente per la difesa dell’imputato? Ce lo spiega nel dettaglio Ursula Franco, medico chirurgo e criminologa di grande esperienza, oggi consulente per la difesa di Michele Buoninconti, rinviato a giudizio per l’omicidio della moglie, Elena Ceste.
Certamente la verità è una sola. Ciò che ci auguriamo tutti è riuscire a fare in modo che la nostra verità processuale coincida il più possibile con la verità dei fatti. Questa è la vera frontiera della giustizia: un orizzonte dal quale, forse, siamo distanti, ma al quale dobbiamo sforzarci di guardare con fiducia.



Dopo la Laurea in Medicina ti sei dedicata alla Criminologia compiendo studi in Italia e all’estero. Che differenze hai notato tra la figura del Criminologo nel nostro Paese e Oltreoceano?

In realtà ho vissuto a Buffalo, New York, appena laureata e non mi occupavo ancora di criminologia, ma di ricerca nel campo della otorinolaringoiatria e della chirurgia maxillo facciale infantile. Di quell’esperienza mi è rimasta la conoscenza della lingua inglese, che mi permette di studiare i testi americani e di aggiornarmi anche oggi che mi occupo di altro. Internet è una fonte importante di aggiornamento ed aiuta anche a costruirsi una propria casistica. Ci sono molti programmi americani di crimine che svolgono un’importante funzione didattica. Gli americani istruiscono i loro detectives in modo molto accurato, focalizzandosi sullo studio del linguaggio verbale e non verbale di un sospettato. Sull’analisi del linguaggio costruiscono, infatti, strategie d'indagine difficilmente fallaci. Anche l’analisi delle telefonate di soccorso è di estrema importanza per decidere una case strategy, da noi, invece, è praticamente ignorata. Ciò che però mi stupisce di più in Italia è la difficoltà che hanno gli addetti ai lavori nel relazionarsi con i serial killers, la loro reticenza nel definire un soggetto con tutte le caratteristiche psicopatologiche dell’assassino seriale un serial killer e la facilità invece con cui attribuisco alcuni reati a fantomatici serial killers.

Che ruolo svolge il consulente all’interno di un processo penale? Cosa significa compiere indagini per la difesa dell’imputato e quali mezzi si hanno a disposizione?

Un criminologo ha una cultura specifica che è d’aiuto ad un avvocato. Io ho la fortuna di essere un medico, ciò mi permette di essere in grado di leggere in modo critico sia le perizie medico legali, che quelle psichiatriche; spesso un legale non è in grado di collegare tra loro le risultanze medico legali per ricostruire la dinamica di un omicidio. La ricostruzione di un omicidio è completa quando tutti i singoli elementi presenti nel referto autoptico si spiegano con la dinamica ipotizzata. Quando si compone un puzzle, un pezzo non può rimanere escluso ed altri pezzi non possono essere forzatamente costretti in posizioni che non sono le loro. Il cadavere parla e a noi deve interessare tutto ciò che ci dice, non possiamo tralasciare nulla, solo così ricostruiremo il modus operandi dell'autore del reato e, attraverso questo, sarà più facile individuare il colpevole. Il modus operandi infatti ci fornisce informazioni sulla personalità dell'autore di un reato e, naturalmente, più particolare sarà il modus operandi, più facile sarà arrivare a lui. Il ruolo di un criminologo varia da caso a caso e a seconda delle sue competenze. Le indagini difensive tendono a produrre perizie specifiche come quelle che produce l’accusa, ma spesso non sono necessarie: le perizie dell’accusa, infatti, se analizzate nel modo giusto possono condurre spesso a conclusioni opposte, è un problema di interpretazione. È come quando ci troviamo ad analizzare un Cold Case credendo che il caso non sia stato chiuso per carenze investigative: spesso invece è stato raccolto tutto l’occorrente per giungere alla verità, sono le analisi precedenti che sono state superficiali.

L’ultimo caso di cui ti stai occupando, come consulente per la difesa, riguarda la morte di Elena Ceste, della quale è stato accusato il marito, Michele Buoninconti. La prima udienza è fissata per il primo luglio: a che conclusioni sei giunta col tuo lavoro? Come hai proceduto nella tua consulenza?

Un criminologo una volta raccolti tutti i dati possibili su un caso li valuta nella loro totalità e, infine, li integra in una spiegazione plausibile: lo stesso ho fatto nel caso della morte di Elena Ceste. Ho iniziato ad occuparmene già all’indomani del ritrovamento del corpo, nell’ottobre 2014, poi, quando hanno arrestato Buoninconti, certa della sua innocenza, ho contattato i suoi legali e ho ricevuto l’incarico di consulente. Il vero punto cruciale di questo caso è che nulla indica che ci sia stato un omicidio, Elena è morta per una tragica fatalità, le indagini hanno condotto ad un clamoroso errore giudiziario dando, tra l’altro, un innocente, cui è morta la moglie, in pasto ad un circo mediatico senza scrupoli. La procura, convinta che la morte della Ceste fosse, invece, ascrivibile ad un omicidio e pur di ritagliarsi ad hoc i risultati di un’autopsia negativa per morte violenta, ha sostenuto una causale connessa ad asfissia, ipotizzata dai consulenti solo in via residuale. Il fatto che il cadavere della Ceste si sia naturalmente decomposto e siano, in tal modo, scomparse le parti molli e cartilaginee del collo è naturale, è una forzatura imperdonabile collegare l’assenza dell’osso ioide e del resto delle strutture molli del collo ad un evento asfittico. Questo cammino percorso dagli inquirenti è ingannevole e li ha portati sulla falsa strada, innamorarsi di un’ipotesi è l’errore più grave che si possa fare in criminologia. Dopo aver ipotizzato un omicidio, gli inquirenti hanno cercato di costruirvi intorno degli indizi, ma, poiché hanno commesso un errore, non sono riusciti a raccogliere veri indizi e non è un caso che nulla avvalori la loro ipotesi e che gli pseudo indizi costruiti dall’accusa siano tutti confutabili: la verità infatti è una sola e dopo che un fatto è accaduto, dura in eterno. La Ceste era psicotica, quella mattina si allontanò volontariamente in preda ad un delirio persecutorio, si nascose ai suoi ‘fantomatici’ persecutori, si addormentò per la fatica, che le aveva indotto il delirio che durava dal pomeriggio del giorno precedente, e per il freddo, e morì per assideramento. Questo dato ce lo confermano, non solo l’appurato disturbo psichico di Elena, ma anche l’assenza di segni di una colluttazione, sia in casa, che sul corpo dei due coniugi, l’assenza di segni di trasporto del cadavere sull’auto di Buoninconti, l’assenza di un referto per una causa di morte violenta e l’assenza di un movente. Inoltre, studiando le carte, ho scoperto che l’interpretazione della perizia sulle celle telefoniche fatta dall’accusa è completamente fallace e, in più, una testimone colloca Michele vicino a casa sua nel momento in cui l’accusa lo posiziona vicino al corso d’acqua dove è stato ritrovato il cadavere di Elena. È difficile, in queste condizioni, sostenere l’ipotesi omicidiaria. Il disconoscere la psichiatria da parte degli inquirenti ha condotto ad un clamoroso errore giudiziario. Uno dei rischi maggiori che si corre durante un’indagine è cadere nel tranello della ‘tunnel vision’, generalmente vengono scartate delle ipotesi e, nonostante nulla conforti la propria, si continua ad indagare in quel senso. Nel nostro caso l’errore viene dal convincimento degli inquirenti che qualcosa non andasse nel racconto di Buoninconti e che la Ceste non potesse essersi allontanata nuda. La criminologia è una scienza esatta, innamorarsi di un’ipotesi ed adeguargli i fatti non porta lontano, non si possono distorcere i fatti per trasformarli in indizi nel tentativo di supportare un’ipotesi. Un’ipotesi veritiera si costruisce sulla base degli indizi e non il contrario. Un'ipotesi va scartata se, non solo un fenomeno, ma più d’uno non si accordano con essa, quando, invece, ad un’ipotesi si confanno perfettamente le risultanze investigative, evidentemente, si è di fronte alla verità. Una ricostruzione è completa e probabile quando tutti i singoli elementi d’indagine si spiegano con la dinamica ipotizzata.

L’interesse dell’opinione pubblica verso la cronaca nera è altissimo, anche a causa del clamore mediatico che si sviluppa attorno ad alcuni casi. Come si vive, da addetti ai lavori, l’ingerenza dei mezzi di informazione nelle indagini? Comporta solo delle complicazioni o è da stimolo per la ricerca della verità?

Per fortuna non ho la televisione, ormai da molti anni. Personalmente trovo orribile che si disquisisca della responsabilità o meno di qualcuno in un caso di omicidio, o presunto tale, senza avere una preparazione specifica e, nel caso la si abbia, senza conoscere gli atti. Diciamo che, a prescindere dal circo mediatico in sé, la vera complicazione viene dai testimoni che si lasciano manipolare dal mezzo televisivo e poi riportano ai magistrati, non ciò a cui hanno in realtà assistito, ma quello che gli ha fatto credere un certo programma televisivo. La testimonianza è un processo delicato, è il risultato di un percorso dinamico fatto da tre fasi successive: acquisizione, ritenzione e recupero, fattori personali ed elementi esteriori agiscono su ciascuna delle tre fasi del processo testimoniale distorcendolo. Tali distorsioni sommandosi tendono ad allontanare il contenuto testimoniale dalla realtà dei fatti. Nessun testimone è capace di rievocare i fatti sotto forma di riproduzioni fotografiche. Un testimone, suo malgrado, rievoca solo verità soggettive che sostituiscono quelle oggettive in toto od in parte, il ricordo non è altro che una personale interpretazione dei fatti osservati. La personalità psichica del testimone, la suggestione, i condizionamenti dei media ed il modo in cui un esaminatore si rivolge ad un teste, sono tutte fonti di distorsione. Per questo un testimone suggestionato diviene un problema se il nostro obiettivo è scoprire la verità.

Tra le tue attività gestisci anche un Blog molto interessante, dove parli dei tuoi studi e dei casi di cui ti occupi. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?


Grazie per i complimenti al Blog. Per quanto riguarda i miei progetti, sto scrivendo un libro sul caso Ceste. L’idea è di scrivere, prendendo spunto da questo caso, una specie di mini manuale di criminologia.

Ursula Franco Blog

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